FOREST
An aesthetic of vegetation. The spitit of the forest abandons the territory of mith.

Between dream and reality, a barefoot Nature seduces Marica Moro’s gaze and, with this “subcutaneous” act, reveals a labyrinth articulated in a series of concentric circles, interrupted at certain points so that a strange passage is formed.
Created by the milanese artist out of earth at the gallery entrance, this sort of labiryrinth proceeds like a sensory collision toward the two-dimensional trees (in  paper coloured by India ink or else gouache, covered with acetate film), trough to the maze of leaves in coloured resin, in a persistent search into the tree-dimensionality of the observed world. Imagine being in a forest. Imagine being blindfolded and then only being able to listen to the story of a place that has just been altered by the hand of Nature.
What do you see? The cognisant creator that forges a creature or the creature itself that generates its own copies?
The forest motif hints at one of the possibile answers. The symbol of the forest triggers reminiscences of female genitalia that clearly speak about the art of seeing Nature as the art of deciphering hieroglyphics.
Alchemy, symbols and legends reveal a spiritually fecund brood organizing Marica Moro’s vegetable world: a world in wich the only natural element is the hand’s track. A photocopy shines trough the resinous surfaces of the sheets, wich are suspended and installed againts the wall. If the relationship between mimesis/reality re-enters a logic of associations and psychic connections, the veining of the leaves are dense brushstrokes of colour, solidified and textured against a light that comes from within, where only intuition remains. The leaves offer a texture in four different colours, blossoming like the components of a new kind of chemical orchard: a Garden of the Hesperides. Perhaps a forest.
It concerns a pathway trough an artistic action that strikes our sense of ascending verticality. Cyclical reciprocity.”

BOSCO

Estetica vegetale. Lo spirito boschivo abbandona la terra del mito.

A piedi nudi, tra sogno e realtà, la natura seduce lo sguardo di Marica Moro ed attraverso questo agire “sottocutaneo” svela un labirinto articolato in una serie di cerchi concentrici interrotti in certi punti, in modo da formare un tragitto bizzarro. Questa tipologia di labirinto che l’artista milanese ha realizzato con la terra all’ingresso della galleria, procede come un urto sensoriale verso gli alberi bidimensionali, (in carta dipinta a china e guache, ricoperti di pellicole di acetato) fino ad un dedalo di foglie in resina colorata per una ostinata ricerca della tridimensionalità del mondo guardato.
Immaginate di essere in un bosco. Immaginate di essere bendati e dunque di poter solo ascoltare la storia di un luogo che è stato appena mutato dal dito della natura. Cosa vedete? Il fabbro sapiente che forgia una creatura o la creatura stessa che genera i suoi multipli?
Il motivo del bosco si avvicina ad una delle possibili risposte. Il segno del bosco provoca rimandi ad una genitalità femminile che candidamente parla dell’arte di vedere la natura come dell’arte di decifrare i geroglifici. Alchimie, simboli e leggende ci svelano una covata spiritualmente feconda organizzando il mondo di Marica Moro: un mondo in cui l’unico elemento naturale è la traccia di una mano. Una fotocopia traspare dalla superficie resinosa delle foglie sospese ed installate al muro.
Se il rapporto tra mimesi – realtà rientra in una logica di transizione e transiti psichici, le venature delle foglie sono pennellate dense di colore solidificato ed impastato ad una luce che viene da dentro, la si può solo intuire. Le foglie offrono una texture in quattro colori diversi, sbocciando come dei moduli appartenenti ad una nuova specie di frutteto chimico: un giardino delle Esperidi. Forse un bosco. Si tratta di un percorso con un’azione artistica che colpisce il nostro senso della verticalità ascendente. Della reciprocità ciclica. Una tradizione sabea ci racconta che Platone avrebbe affermato che l’uomo è una pianta rovesciata le cui radici si estendono verso il cielo ed i rami si espandono al di sopra e al di sotto della terra. Le radici dell’albero di Marica Moro trattengono un uovo. L’uovo generato dall’albero cela una promessa: penetra la terra come un frutto che può prolungare la vita ed in un materno motivo di intrecci marchia anche la promessa di ripartorire, come i mostri leggendari che ingoiano e sputano le loro vittime dopo averle trasfigurate, come la balena che restituisce Giona sulla riva o il drago che vomitò Giasone di fronte ad Atena.

Grazia De Palma

Dal catalogo per la mostra “Dalla parte di Pan”, 2003, Galleria Karas Zagabria.