Attraverso un approccio creativo semplice ed essenziale, Marica Moro affronta nel suo lavoro uno dei temi più alti e profondi dell’esistenza: l’interrogativo sull’origine della vita, sul rapporto tra l’uomo e gli elementi fisici del mondo in cui vive. Un essere vivente dalle sembianze umane, ma molto vicino alla forma vegetale di un germoglio, si erge appunto sulla cima di un grande vaso riempiendo di “vita” l’oggetto inanimato. In questa forma scultorea, dalle dimensioni monumentali, è racchiuso il senso della nascita e della crescita, ed è riassunta anche la ricerca da diversi anni condotta dall’artista, che ha sempre cercato di unire nel suo lavoro il valore formale dell’immagine a un contenuto filosofico.
Fulcro dell’opera realizzata per la Biennale è un essere vivente, che è idealmente cresciuto all’interno di un vaso colmo d’acqua e che svetta dal bordo nella sua libertà gestuale. Questa forma, che da vegetale si sta trasformando, allude chiaramente all’uomo, ma nello stesso tempo, nella sua schematicità, fa riferimento a un concetto più astratto di vita. E’ segno simbolico del ciclo biologico della vita, del suo generarsi e rigenerarsi. In un’epoca caratterizzata dalla velocità tecnologica, l’indagine dell’artista sembra riportarci a un senso più arcaico e ancestrale dell’esistenza, nel punto esatto da cui le cose provengono, si formano, prendono vita. E quel punto è da cercare proprio nell’acqua, visibile in trasparenza nel vaso di resina che la contiene: l’acqua è l’elemento che dà origine alla generazione delle forme viventi, siano esse animali o vegetali.
L’altro elemento che appare determinante in questo lavoro è però qualcosa che non ha solo una dimensione naturale, ma è frutto dell’azione dell’uomo. Si tratta del vaso, che, con la sua sagoma conica e monumentale, sembra alludere ad antiche architetture o alla forma perfetta della chiave di volta, elemento base della cupola rinascimentale. Il vaso è contenitore, ma anche elemento simbolico che ricorda la base statica dell’architettura, metafora della sapienza ingenieristica dell’uomo. Il riferimento a un “luogo” in cui germina la vita non è nuovo per Marica Moro: in un precedente lavoro di videoanimazione l’artista si era dedicata al tema della “serra”, ambiente costruito dall’uomo, che nel suo tepore favorisce la crescita del seme e la generazione della vita. Il vaso rappresenta proprio il “luogo” della genesi e trasmette lo stesso senso di protezione del ventre materno.
Questa metafora dell’esistenza presente nell’opera, parafrasando una famosa dichiarazione di Paul Klee non rappresenta il visibile, ma rende visibile l’invisibile, rivela, in forme non del tutto compiute, contenuti che vanno oltre l’immagine sensibile. Tale risultato è ottenuto anche mediante la materializzazione e solidificazione fisica nella scultura del disegno. Grazie alla resina, l’elemento grafico traspare attraverso la materia, si concretizza nelle linee e nelle forme degli oggetti creati. Il disegno del resto ben si presta a interpretare temi introspettivi e autoriflessivi come quello indagato dall’artista che, donna, non può prescindere dal legare questo suo lavoro sull’origine della vita anche alla sua esperienza di vita.
Elena Di Raddo