Una superficie moltiplicata, un’immagine che si frantuma, un pensiero che scorre da un luogo ad un altro: questi in sintesi sono gli elementi costitutivi il lavoro di Marica Moro. Il foglio-mondo, dal titolo dell’ultimo ciclo, è uno spazio chiuso e nello stesso tempo aperto, è supporto e soglia, forma e infinito. E’ il luogo della comunicazione artistica dove il pensiero sul mondo si traduce in racconto, parte miniaturizzata di una realtà quotidiana. Marica Moro è sempre stata insofferente verso il quadro, con la sua cornice e la tela che lo costringono entro una dimensione esclusivamente rappresentativa. La rappresentazione è del resto un artificio totalmente culturale, fondato su convenzioni socializzate che ne governano l’ambito e la natura.
Marica Moro lavora con l’immagine sull’immagine, sulla problematica insita nell’osservazione della realtà. Negli ultimi lavori il superamento dell’immagine tradizionale del dipinto ha raggiunto una sua piena autonomia in opere che rifiutano ogni limitazione spaziale: si possono estendere su una superficie di una parete, possono occupare dimensioni variabili a seconda dello spazio disponibile o dell’immaginazione dell’artista.
Quale supporto, inoltre, si servono della carta che a, differenza della tela, è più libera di prostrarsi alla forza di gravità, di scorrere, dunque, priva di costrizioni lungo lo spazio, delimitando nello stesso tempo un sopra e un sotto ben distinti. Carlo Sini in teoria e pratica del foglio mondo, da cui trae avvio filosoficamente questo lavoro, sottolinea come la pagina si differenzi sostanzialmente dal foglio per la sua natura di non avere dei margini.
Una rappresentazione su un foglio ha infatti, per sua necessità, la presenza ideale o immaginata di margini che la delimitano, la pagina, invece, che può essere girata, possiede la proprietà di un foglio infinito. Marica Moro cerca nei suoi lavori di superare questa limitazione propria della pittura sovrapponendo al foglio di base delle pagine di acetato su cui traccia i “contorni” delle figure.
Le immagini rappresentate emergono dall’opera solo attraverso la sovrapposizione di questi due supporti che, nel contempo, generano anche uno scarto fisico, nella lettura e psicologico, nella comprensione.
In tale processo, quindi, la lettura dell’opera si sdoppia, e può idealmente continuare all’infinito in uno spazio ipoteticamente aperto di sovrapposizioni. Lo sguardo dell’osservatore scorre su due binari paralleli, che si prestano a diverse interpretazioni, ma la cui associazione è indispensabile per comprendere il significato completo dell’opera.
Questo processo di lettura è innestato dall’osservatore anche dall’accostamento sulla stessa ampia superficie di diverse immagini o particolari di oggetti: figure metropolitane di donne in corsa, accessori di abbigliamento, scorci architettonici. Come negli antichi paliotti, la rappresentazione si svolge entro una dimensione temporale, dove però, a differenza di quelli, non vi sono un prima e un dopo, e neppure una consequenzialità logica. Ogni immagine è autonoma di per se stessa ed acquista un significato più completo dall’accostamento delle altre. La natura fredda e lucida dell’acetato, inoltre, riflette il senso dell’effimero delle immagini e nello stesso tempo del rapporto dell’uomo nei confronti degli oggetti, delle situazioni, della vita in senso più generale. Solo la sovrapposizione di questa pellicola trasparente- il contingente- al colore- la profondità- può ricostruire il senso del mondo, al di sopra e al di sotto del foglio che lo contiene.
Elena Di Raddo
Dal catalogo per la mostra “Il foglio mondo”, Galleria Kontraste arte contemporanea, Pietrasanta, Lucca, 1999.