“Sguardi nel ventre stesso della metropoli, sulla sua pelle, sui suoi vissuti, è questo ciò che vuol essere MATERPOLIS, un progetto unitario che tesse i fili dell’invenzione di quattro artiste che con sguardi diversi si interrogano e lavorano sul territorio e si riferiscono al radicale mutamento di valori, che investe la metropoli e l’idea stessa di società o di cultura, e che deve essere continuamente rapportato a quello interno delle soggettività di cui fanno parte le percezioni visive, olfattive, tattili, auditive.
E la messa in atto di saperi, modi e tecnologie con i quali il territorio metropolitano è parlato e agito. E le tante presenze e gli incontri e scontri anche con l’alterità che lo attraversano.
Assumendo, infatti, l’elemento vegetale, come materiale primario di costruzione, Marica Moro non fa più del verde una componente dell’allestimento o dell’arredo della città, ma il nucleo centrale di una riflessione che va all’origine della vita, per ripensare ciò di cui la città stessa dovrebbe essere fatta.
Ed è allora anche una nuova attitudine progettuale che ritorna a considerare il verde come l’ambiente ideale della vita umana. Quindi la città immaginata che ne deriva cambia di statuto, non si iscrive più nell’artificiale quale altro rispetto alla natura, ma, come avviene nell’installazione, dialoga con le fonti della vita e vuole essa stessa essere natura, vuole portare dentro di sé la natura, togliendo il confine fra lo spazio della natura e quello del costruito, togliendo il recinto che delimita il giardino e costruendo la vita nel grembo di un vaso. Nelle opere di Marica Moro l’armonia organica con la natura si fa visibile nella prevalenza delle forme rotonde, quali simboli del ciclo della vita, e nell’irregolarità serpeggiante e ondulata delle linee e delle strutture, nella scelta del colore, usate nelle loro possibilità espressive, e nella loro valenza emozionale e nella predilezione che ci fanno entrare in un mondo parallelo o come sarebbe in una visione non lineare ma colorata e multiforme come è la vita.”
Eleonora Fiorani