Marica Moro riflette sulla corporeità dell’essere umano come partecipe del mondo biologico, e invita ad immaginare una sorta di identificazione con l’ambiente naturale.

L’impronta digitale, ingrandita e applicata al tronco tagliato, gioca con la similitudine delle forme: ai cerchi concentrici dell’albero si sovrappongono le linee concentriche delle dita. Nel rivolgere direttamente al fruitore la domanda che dà al titolo all’opera, E se foste una pianta o un paesaggio? l’artista trae spunto da Gilles Deleuze. In accordo con il pensiero del filosofo, Moro propone un pensiero da agire, un’intuizione che si fa concreta nel superare il momento speculativo, perché si giunga a “pensare il cosmo come a un grande contenitore di esistenze, siano esse umane o vegetali”.
Procedendo in questa direzione ritroviamo, nel paragone tra il segno che legge l’età di una pianta e il segno inconfondibile di riconoscimento, tracciato dalla natura sul polpastrello della mano dell’uomo, un invito a ricondurre il senso dell’esistenza alla capacità di creare nel tempo.
Come l’albero, nel crescere, genera costantemente nuova corteccia, l’uomo cresce nel generare, nella concretezza del vivere.

Laura Gelmini

Dal catalogo della mostra Nuovi paesaggi, Chiesa di S.Cristoforo, Lodi.