Intervista di Annalisa Portesi a Marica Moro in occasione della mostra Come bolle di sapone, Spazio Starter, Milano, 2005
Che significato hai attribuito alle semi-sfere/bolle?
La palla è da sempre uno dei giochi preferiti dai bambini: da rincorrere, tirare, riprendere, come le bolle di sapone, sfere da soffiare, in cui specchiarsi, seguendone la traiettoria nel vento, per poi vederle svanire all’improvviso, proprio come un sogno, un ricordo. La bolla di sapone come metafora dell’effimero, che compare per poi svanire quasi subito, come in una bella favola.
Vedendo il tuo video mi sono ricordata di questa frase di Gianni Rodari che dice:
“ Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a diverse distanze, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore… Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni…” (G. Rodari, Grammatica dell’ infanzia, 1973)
Cosa provoca e soprattutto cosa ha provocato in te, essendo il titolo del tuo video, la parola game/gioco ?
E’ molto bella questa frase di Gianni Rodari e direi che riassume molto bene il senso del mio lavoro: Game nasce dal ricordo di quando giocavocon altri bambini a inventare parole, liberando la mente e la fantasia in un continuo scambio di libere associazioni.
I dadaisti, ma anche i surrealisti, usavano il procedimento dell’automatismo psichico per creare le loro opere. Con Game ho voluto viaggiare da un concetto all’altro, le forme e gli oggetti si trasformano attraverso il segno e il suono, che Mauro Lupone ha volutamente creato come una texture costante ma in continua trasformazione, seguendo il flusso dell’immagine animata, evocando talvolta rumori di sottofondo.
Parli di un ritorno all’infanzia associato ad un automatismo psichico che ti permette di spaziare con la mente, ritieni che il gioco, come consente al bambino di entrare in contatto con sé stesso e la realtà che lo circonda, possa aiutare l’adulto a ristabilire un contatto più profondo dentro e fuori di sé ?
Il gioco di per se è qualcosa che prescinde dal reale, diversamente esprime illusioni e sogni, liberando la fantasia e l’immaginazione che sono dentro di noi.
Hai costruito il tuo video rifacendoti al gioco infantile di associare una cosa ad un’altra, che in qualche modo la richiama, perché hai scelto il mare per aprire e chiudere questo tuo personalissimo meccanismo ludico-associativo?
L’acqua è l’elemento che maggiormente rimanda al concetto di genesi, crescita e trasformazione: nei miei lavori è molto importante il rapporto tra il mondo cosmico-naturale e il ciclo vitale dell’essere umano.
Il mare inoltre, attraverso le correnti, trasporta un intero mondo di esseri animati e inanimati. Ho voluto che il video finisse in loop, pensando a un fil rouge senza fine: mare – conchiglia – collana – vestito – scarpa – impronta – terra – sole – luce – lampadina – buio – notte – stelle – fuoco – bosco – albero – ramo foglia – mano – piede – impronta -mare, dal primo frame si giunge all’ultimo, in un susseguirsi ininterrotto di segni e di suoni.
Tra le cose e gli oggetti che mi hai appena nominato, quali elementi della tua catena associativa, noto una dimenticanza: l’immagine della bambina…che si interpone tra la collana e il vestito. Forse frutto di un’auto-identificazione a livello inconscio?
La bambina è diventata la vera protagonista di questo video perché forse è l’immagine più enigmatica e al tempo stesso più diretta di tutti i passaggi-frame: non era prevista nel progetto iniziale del lavoro, è stata inserita come elemento d’unione tra la visione della collana e del vestito.
Probabilmente essa rappresenta una componente autoreferenziale, sicuramente inconscia e imprevista; spesso lavorando si arriva a delle soluzioni inaspettate e insolite rispetto alla visione globale di partenza.
Secondo te, cosa potrebbe rendere il contatto comunicativo adulto-bambino più aperto e profondo, tanto da permettere a quest’ultimo una totale e libera espressione di sé ?
A mio avviso, il bambino non dovrebbe sentirsi giudicato dall’adulto, e guardando alle sperimentazioni di artisti come Bruno Munari e studiosi del comportamento come Arno Stern,
sarebbe meglio non indirizzare e influenzare il bambino nella sua evoluzione creativa, fornendogli gli strumenti di base necessari e insegnandogli qualche rudimento tecnico, lasciandolo però libero di esprimersi attraverso un linguaggio personale.