Espoarte, giugno 2014

Con Genesis second day l’artista Marica Moro (1970), presente allo Spazio Thetis di Venezia in occasione della 14. Biennale di Architettura, ha proposto una nuova grande scultura che pone al centro, fedele alla ricerca dell’artista, i temi legati all’uomo e alla natura. In occasione di questo progetto per il noto spazio veneziano, l’abbiamo intervistata, per avere una ricognizione sui contenuti e le scelte che l’hanno guidata alla realizzazione di questa recente opera.

La tua mostra è presentata in occasione della 14. Biennale di Architettura come hai accolto questa proposta? Su quale scelte si è orientato il tuo sguardo?


Ho conosciuto lo Spazio Thetis, in occasione della mostra Culture Nature, alla quale avevo partecipato nel 2010, evento collaterale della Biennale di Architettura dello stesso anno, è stato quindi molto stimolante riprendere il dialogo con Antonietta Grandesso, curatrice dello Spazio, e partecipare attivamente anche al progetto preparatorio della mostra, proposta da Fortunato D’Amico e condivisa con Michelangelo Pistoletto. Mi sono quindi soffermata sul tema del dialogo tra arte e città, sul quale da anni sto lavorando attraverso diversi progetti. 

Su che opere ti sei concentrata e come ti sei rapportata al tema della Biennale?

In continuità con il ciclo di opere Greenhouse, legate al tema della nascita e della trasformazione, già parte della Collezione Thetis dal 2013, ho scelto di creare un’opera site specific con materiali naturali come l’argilla e i pigmenti ossidi, forniti per l’occasione dall’azienda Matteo Brioni, specializzata nella bioarchitettura.
Il tema di questa Biennale di Architettura, Fundamentals, ci riporta alla necessità di concentrare la nostra attenzione proprio sugli elementi principali del progetto architettonico, così come nelle mie opere sottolineo l’importanza di ritornare alle origini e alle necessità primarie dell’uomo, ancestralmente legato all’acqua, alla terra e al ciclo biologico naturale.

La riflessione si muove attorno alla “genesi”, cosa significa per te questo concetto? Come pensi si legga nella tua opera?

La genesi è legata indissolubilmente anche alla fine, intesa come fine di un ciclo: questa compresenza di vita e di morte è alla base dell’universo e della nostra esistenza. L’intuizione di questa parte della mia ricerca muove anche dall’acceso dibattito sulla sperimentazione genetica: mi sono immaginata una grande serra-laboratorio umano-vegetale, in cui vi sono alcuni vasi-provetta, da cui nasce la vita, e altri in cui si assiste invece alla morte del seme.
Genesis 2, in particolare, viene letta in questo momento critico di mancanza di valori e di punti di riferimento anche come messaggio positivo e di rinascita culturale, molto importante in questo periodo per l’azienda Thetis, per Venezia, ma anche per l’Italia in generale.

Che prospettiva suggerisce il tuo lavoro guardando ai quattro macro spunti che sollecita: arte, architettura, natura e uomo?

Ho sempre creduto nella contaminazione tra le discipline, nel senso di arricchimento reciproco, e negli ultimi anni ho cercato di proiettare la mia ricerca proprio in questa direzione, declinando il mio messaggio tra arte, design e architettura e coinvolgendo anche diverse aziende per creare insieme un dialogo costruttivo rivolto al continuo e necessario confronto tra uomo e natura.